Roma, 10 febbraio 2022
Al Ministro per la pubblica amministrazione on. Renato Brunetta
Al Ministro dell’Economia e delle Finanze dott. Daniele Franco
e, p.c. Al Ministro dell’Università e della Ricerca prof.ssa Maria Cristina Messa
Oggetto: D. Lgs. 25 maggio 2017, art. 23, c. 2.
Come è noto, l’art. 23, c. 2 del D. Lgs. 25 maggio 2017, così dispone: “nelle more della progressiva armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale … a decorrere dal 1° gennaio 2017, l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni pubbliche di cui all‘articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo determinato per l’anno 2016”.
Considerato che l’armonizzazione dei trattamenti economici accessori del personale contrattualizzato è ben lungi dal concretizzarsi (ma questo non per inerzia delle forze sindacali, bensì per la limitatezza delle risorse rese disponibili in occasione dei rinnovi contrattuali), è ragionevole presumere che il disposto normativo che impone il contenimento dei Fondi destinati al trattamento economico accessorio, continuerà ad imperversare per i prossimi anni.
A dire il vero, qualcuno si era illuso sul “Patto per l’innovazione del Lavoro pubblico e la Coesione sociale” (firmato il 10.03.2021), il quale prevedeva che il Governo si sarebbe impegnato “nel superamento dei limiti (rectius: cassazione!) di cui all’art. 23, comma 2, del d. Lgs. 75/2017”. Quanto concordato tra Confederazioni Sindacali e Governo, però, già assumeva un tono tiepido nella norma appositamente contenuta nel D.L. n. 80 del 9 giugno 2021, convertito con modificazioni in L. 6 agosto 2021, n. 113, il cui art. 3, c. 2, così recitava” “I limiti di spesa relativi al trattamento economico accessorio di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n. 75, compatibilmente con il raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, possono essere superati, secondo criteri e modalità da definire nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro e nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità”.
Tale tenore di tiepidezza si è, poi, addirittura raffreddato con il disposto di cui alla Legge di stabilità anno 2022 (L. 30 dicembre 2021, n. 234), il cui art. 1, c. 604, al fine di dare attuazione a quanto previsto dal predetto art. 3, c. 2, ha determinato in appena 110,6 milioni di euro, per giunta al lordo degli oneri contributivi ai fini previdenziali e dell’imposta regionale sulle attività produttive (e con decorrenza 1.1.2022!) le risorse da poter utilizzare oltre il “c. d. tetto limite 2016”.
E pensare che prima della approvazione definitiva da parte della Camera dei Deputati, le risorse erano state quantificate in complessivi € 200 milioni di euro. Ma non è questo il punto, poiché anche 200 milioni di euro sarebbero stati ben poca cosa rispetto alle risorse finanziarie perse dai lavoratori pubblici (e da quelli delle Università in particolare, per i quali – da sempre – gli incrementi contrattuali sono comparativamente minori rispetto agli aumenti ottenuti da altri comparti) in ragione di una “stagione di tagli” che perdura, tenacemente, pesantemente ed ingiustamente, da troppi anni.
E di ben poca entità risulta essere il finanziamento individuato, nel vano tentativo di colmare la distanza tra i lavoratori contrattualizzati delle università e quelli degli altri comparti del pubblico impiego, al c. 297, dello stesso art. 1 della Legge di stabilità anno 2022 (“50 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022 finalizzati alla valorizzazione del personale tecnico-amministrativo delle università statali”), per la cui ripartizione tra le singole istituzioni, in ogni caso, bisognerà attendere di poter leggere il relativo decreto ministeriale.
Ovviamente, non voltiamo le spalle a fronte delle ulteriori risorse disposte dalla Legge di stabilità per l’anno corrente, ma vogliamo, con forza e ferma convinzione (ed ancora una volta!),
CHIEDERE
che le SS.LL. si impegnino affinché per le Università sia definita una norma che deroghi all’applicazione del già menzionato art. 23, c. 2 del D. Lgs. 25 maggio 2017.
Si porta alla loro attenzione la circostanza che il Legislatore, attraverso lo strumento della deroga, è intervenuto, in più occasioni, per alleggerire la “portata” della predetta Legge, con riguardo ad alcune Amministrazioni se non ad interi comparti.
È il caso, ad esempio, dell’art. 33, cc. 1, 1 bis e 2, del D. L. 30 aprile 2019, n. 34, convertito con modificazioni dalla L. 28 giugno 2019, n. 58, il quale prevede che “Il limite al trattamento accessorio del personale di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 27 maggio 2017, n. 75 è adeguato, in aumento o in diminuzione, per garantire l’invarianza del valore medio pro-capite, riferito all’anno 2018, del fondo per la contrattazione integrativa nonché delle risorse per remunerare gli incarichi di posizione organizzativa, prendendo a riferimento come base di calcolo il personale in servizio al 31 dicembre 2018”. La norma interessa le Regioni a statuto ordinario, le Province, le Città metropolitane ed i Comuni.
Ma è anche il caso dell’art. 11, c. 1, del Decreto Legge 30 aprile 2019, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 25 giugno 2019, il quale, con riferimento agli Enti del Servizio sanitario nazionale, prevede un sistema di incremento dei Fondi (o, per meglio dire, di non impoverimento del valore medio pro capite in godimento riferito al 2018) in maniera pressoché sovrapponibile al disposto di cui al succitato D.L. n. 34/2019.
Di seguito, ulteriori deroghe “di sistema” disposte dal Legislatore:
- per l’art. 1, comma 435-bis, della L. 27 dicembre 2017, n. 205, come modificato dall’art. 25, comma 1, del D.L. 30 dicembre 2019, n. 162, il limite non si applica ai fondi contrattuali per il trattamento economico accessorio della dirigenza medica, sanitaria, veterinaria e delle professioni sanitarie, che sono incrementati di 14 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2020 al 2025 e di 18 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026;
- per l’art. 1, cc. 150, 442, 527 e 1091, della L. 30 dicembre 2018, n. 145, il tetto di spesa, non si applica al personale contrattualizzato non dirigente dell’amministrazione civile dell’Interno, per il quale il fondo risorse decentrate è stato incrementato di 7 milioni di euro per ciascuna delle annualità del biennio 2019-2020 e di 18 milioni di euro a decorrere dall’anno 2021, con ulteriore incremento di 12.000.000 di euro per il 2020 per far fronte alle particolari attività di supporto in materia di immigrazione, ordine pubblico, soccorso pubblico e protezione civile; per il personale della carriera prefettizia e il personale di livello dirigenziale contrattualizzato dell’Amministrazione civile dell’interno è poi stato previsto l’incremento del Fondo per la retribuzione di posizione e la retribuzione di risultato; peraltro, per il personale dipendente del Servizio sanitario regionale è stata prevista l’implementazione dei fondi per la contrattazione decentrata integrativa di ciascuna azienda o ente con quota parte dei trasferimenti INAIL, di cui al comma 526 della medesima Legge di bilancio, determinata con intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano;
- la medesima legge n. 145/2018 dispone che il maggiore gettito accertato e riscosso, relativo agli accertamenti dell’imposta municipale propria e della TARI, nell’esercizio fiscale precedente a quello di riferimento risultante dal conto consuntivo approvato, nella misura massima del 5 per cento, sia destinato, limitatamente all’anno di riferimento, al potenziamento delle risorse strumentali degli uffici comunali preposti alla gestione delle entrate e al trattamento accessorio del personale dipendente, anche di qualifica dirigenziale, in deroga al limite di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo 25 maggio 2017, n.
- per l’art. 1-ter, 4, del D.L. 21 settembre 2019, n. 104, convertito, con modificazioni, dalla L. 18 novembre 2019, n. 132, il tetto di spesa non si applica al personale coinvolto in specifici progetti locali presso istituti e musei, per i quali è previsto l’incremento del Fondo risorse decentrate del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo al fine di migliorare la fruibilità e la valorizzazione degli istituti e dei musei dotati di autonomia speciale, con versamento di introiti al bilancio dello stato e riversamento ai fini suddetti di remunerazione delle particolari condizioni di lavoro, comunque entro il limite massimo complessivo del 15 per cento del trattamento tabellare annuo lordo;
- per gli artt. 16-ter, c. 2, e 50-bis, c. 1, del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla 19 dicembre 2019, n. 157, l’art. 23 cit. non si applica al personale dell’agenzia delle entrate per il triennio 2016–2018, per il quale la quota incentivante di parte variabile è aumentata del 50 per cento delle risorse derivanti dalle convenzioni stipulate dall’Agenzia delle entrate con soggetti pubblici o privati dirette a fornire servizi in forza di specifiche disposizioni normative, certi-ficate dal collegio dei revisori.
In relazione alla Legge di stabilità per l’anno 2022, ancora, l’art. 1, ai cc. 339 e 340, prevede lo specifico incremento del Fondo Unico Nazionale per il finanziamento delle retribuzioni di posizione e di risultato dei dirigenti scolastici (di cui all’art. 4 del C.C.N.L. relativo al personale dell’ex “Area V della dirigenza” per il secondo biennio economico 2008-2009) di 20 milioni di euro a decorrere dall’anno 2022, e, una tantum, di ulteriori 8,3 milioni di euro per l’anno 2022, e di ulteriori e di 25 milioni di euro per l’anno 2023.
Quanto sopra rappresentato, dimostra che il Legislatore, a fronte di peculiari esigenze, sicuramente motivate dalla complessità, delicatezza e gravosità delle attività che i lavoratori interessati sono chiamati a svolgere, si è rivelato disponibile ad “intervenire” – attraverso lo strumento della deroga – sulla norma in questione, nella consapevolezza che più elevati livelli di impegno e di responsabilità da parte dei lavoratori debbano avere il giusto riconoscimento anche sul piano della retribuzione.
Come è a voi noto, le Università sono già chiamate, e sempre più lo saranno, a mettere a sistema, in chiave innovativa, il potenziamento della ricerca in ragione della attuazione delle misure previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), in stretta sinergia con gli ambiti pubblici e privati del lavoro. Nell’ambito del PNRR, inoltre, le Università fungeranno – e stanno già fungendo – con il loro bagaglio di sapere scientifico da “bacino di coltura” per innumerevoli progetti di innovazione individuati da Enti Pubblici di Ricerca, Enti pubblici territoriali e altri soggetti pubblici o privati.
E’ di tutta evidenza che la realizzazione delle iniziative di cui sopra potrà realizzarsi attraverso il rafforzamento delle strutture amministrative e tecniche in senso lato, l’accelerazione e lo snellimento delle complessive procedure, nonché la rapida reingegnerizzazione dei processi in un impegno sempre più incisivo e massiccio del personale contrattualizzato che opera all’interno delle Università.
Ecco perché, ora più che mai, si impone un intervento a livello legislativo, che conduca alla realizzazione di una specifica norma derogatoria rispetto all’art. 23, c. 2, del D. Lgs. n. 75/2017, che consenta alle Università, attraverso il superamento del c.d. “tetto limite 2016”, un sostanziale e significativo incremento dei Fondi destinati al trattamento economico accessorio del personale, anche ricorrendo a risorse finanziarie da trarre dai rispettivi e autonomi bilanci.
L’occasione potrà esser fornita dalla conversione in Legge del D.L. 30 dicembre 2021, n. 228 recante “Disposizioni urgenti in materia di termini legislativi“, cd. Milleproroghe.
Cordiali saluti
Il coordinatore nazionale della Federazione Gilda Unams
Rino Di Meglio
12 Febbraio 2022
categorie: NEWS FGU NAZIONALE